Le origini del tabarro si perdono nell’antica Roma e nel corso dei secoli ha conosciuto fogge, colori e tessuti diversi, rimanendo sempre fedele a ciò che lo contraddistingue: taglio del panno a vivo, una sola cucitura e colletto.
Nel Trecento, a Venezia come in Toscana, il tabarro è una sopravveste lunga, con maniche ampie ma non lunghe, portata da medici, magistrati, mercanti, nonché da ecclesiastici. Solitamente semplice e privo di raffinatezze, si presentava lungo, di forma rettangolare, in seta, in panno nero o foderato di pelliccia, a volte era accompagnato da un cappuccio. Antecedente all’uso del bottone e all’invenzione della macchina da cucire, in uso sotto il dominio della Serenissima, il tabarro veniva indossato da uomini e donne, da medici e magistrati, mercanti ed ecclesiastici, come anche da suore e cortigiane.
Nel corso del Cinquecento il termine può riferirsi sia ad un’elegante giacchina corta con maniche, aperta sul davanti, sia alla divisa portata dai galeotti del remo. Alla fine del secolo diventa il mantello che copre le spalle di cittadini, mercanti e viaggiatori e, solo nel Seicento, entra in uso anche tra nobili, funzionari e magistrati in sostituzione alla veste patrizia.
Nel Settecento si ampliano i colori e i modelli: a mezza o a piena ruota, corti o lunghi fino alla caviglia, di panno o di velluto, spesso con collo risvoltato o con la pellegrina. I patrizi privilegiavano il colore rosso, i mercanti e i commercianti lo portavano scuro, d’estate invece i colori si schiarivano e potevano essere in seta bianca o blu. In questo secolo il tabarro diviene simbolo di mistero: indossato insieme a maschere – come la bauta, la larva e i cappelli a tre punte – uomini e donne potevano abbandonarsi ad avventure licenziose, proteggendo la propria identità. Alla fine del secolo il tabarro sembra destinato a tramontare ma il clima del Romanticismo lo consacra a capo d’eccellenza dell’eroe tormentato, e il colore, dopo la Rivoluzione Francese, diviene rigorosamente scuro, abbandonando broccati e pizzi aristocratici ed assumendo una severità e semplicità mai più abbandonate. Nel Novecento diviene simbolo di eleganza e signorilità, in uso anche presso la società contadina – il “tabarrino”, più corto per ragioni pratiche – e le truppe al fronte. Nel secondo dopoguerra il tabarro cade in disuso e viene sostituto dal cappotto. Negli anni Sessanta l’imprenditore tessile Sandro Zara inizia un lento recupero del capo e dalle soffitte e dai musei ne ripristina l’uso e la memoria.